Prijedor è la prima città che abbiamo visitato. Fu teatro di massacri terribili, nonostante se ne sia parlato poco a livello internazionale. Durante la guerra jugoslava, precisamente nel 1992, le autorità serbe obbligarono tutti i cittadini non-serbi a stendere un lenzuolo bianco sulle finestre di casa mentre, quando camminavano per strada, avrebbero dovuto mettere una fascia bianca intorno al braccio, in modo tale da essere riconosciuti. Fu l'inizio della pulizia etnica: 31000 persone non serbe furono rinchiuse nei lager, 53000 furono vittime di persecuzioni e di deportazioni nei campi (uno dei quali situato proprio nei dintorni della cittadina). Dal punto di vista architettonico la città manca di edifici e monumenti suggestivi. La sua caratteristica principale è la presenza di murales coloratissimi che ricoprono la fiancata di palazzi. Il primo murales venne realizzato nel 1998 dall'artista italiana Paola de Manincor insieme ai bambini dei centri profughi e oggi, in suo omaggio, attraverso il concorso “Prijedor, città dei murales”, sono stati realizzati 5 murales. Tra questi uno raffigura il volto di un uomo con un cappello magico da cui spuntano edifici, ferrovie e fiumi. Si tratta di Mladen Stojanovic, una delle più importanti personalità legate a Prijedor, medico serbo, eroe partigiano durante la Seconda guerra mondiale. In suo onore la sua casa natale è stata trasformata in museo nel cui giardino è stata eretta una sua statua. La città oggi si sta risollevando dalle ferite lasciate dalla guerra e la forza sta soprattutto nei giovani che si organizzano in associazioni civili, culturali e artistiche per dare un senso al crescere e al vivere nel luogo delle proprie radici. La sera abbiamo partecipato ad una cena di comunità organizzata da un'associazione culturale multietnica locale grazie alla quale siamo potuti entrare in contatto con i giovani del posto, assaggiare i piatti tipici e assistere a balli tradizionali. Abbiamo soggiornato presso famiglie bosniache così da vivere appieno la vita di Prijedor. E' stata una bella esperienza e l'ospitalità è stata calorosa. La mattina seguente abbiamo incontrato l'Iman di Prijedor all'interno della moschea. Abbiamo dovuto adeguarci ai dettami della religione islamica che prevede l'entrata in moschea senza scarpe e il velo per le donne. Durante l'incontro l'Iman ha recitato alcuni versetti del corano e ci ha messi a conoscenza delle pecurialità della religione islamica. Siamo partiti, poi, in direzione Sarajevo.

Mostar è stata l'ultima tappa del nostro viaggio. Appena arrivati abbiamo fatto visita al Collegio del Mondo Unito di Mostar, l'unico collegio del movimento UWC ad essere stato costruito in un paese post-conflitto con l'obiettivo di “Dotare le generazioni successive dei giovani in Bosnia-Erzegovina delle conoscenze, competenze, qualità di leadership e valori internazionali necessari per colmare le divisioni etniche ancora esistenti e rendere il loro Paese un Paese del ventunesimo secolo”. Dopo aver incontrato degli studenti stranieri che ci hanno spiegato come si svolgono le loro giornate, Tatiana, una nostra ex-compagna di classe che ha deciso di trascorrere la quarta e quinta superiore in questo collegio, ci ha guidato nella visita della città. Mostar significa “ponte vecchio” infatti deve il suo nome al simbolo della città: il ponte Stai Most, che collega la città vecchia, Stari Gard, croata, con la parte bosniaca. Anche Mostar, come Sarajevo, è una città multiculturale nella quale convivono croati e bosniaci. Fino allo scoppio della guerra di Bosnia Erzegovina musulmani e croati avevano convissuto tranquillamente, occupando i primi la parte a est dello Stari Most e i secondi quella a ovest. I croati bosniaci, durante un'offensiva, bombardarono il quartiere musulmano della città, provocando anche la distruzione del ponte, la cui ricostruzione avvenne solamente dieci anni più tardi nel 2004. Oggi, nonostante il conflitto sia terminato, l'ostilità tra croati e bosniaci è ancora presente e percepibile all'interno della città. La funzione del collegio UWC è anche quella di creare un contatto tra musulmani croati e bosniaci. I segni della guerra sono ancora presenti e ben visibili, infatti camminando per le vie si possono osservare palazzi bombardati ed edifici con pareti sventrate. Il nostro soggiorno si è concluso con una serata in un locale suggestivo in compagnia degli studenti del collegio.
